Di pagine di pietra in Valle Camonica ce ne sono tante. Pagine scritte, riscritte, modificate nel corso dei secoli e dei millenni. Immense lavagne a cielo aperto solcate dall’erosione di pioggia, vento e ghiaccio. Luoghi su cui l’arte rupestre ha lasciato un segno profondo non solo con figure antropomorfe e rappresentazioni di animali e riti iniziatici. Ma anche con il dono della scrittura, quel solco profondo che ogni, qualvolta viene tracciato, ti porta a chiederti cosa sia Storia e che cosa ci fosse prima. Un solco protagonista del libro PAGINE DI PIETRA, di Alberto Marretta e Serena Solano.
Prima di tutto: non so bene dove suggerirvi di trovare questo libro se lo volete acquistare ora, ma so per certo che presso il sistema bibliotecario che mette in rete la Valle Camonica ne trovate almeno una copia. Altra cosa importante: la data di pubblicazione. Andiamo infatti indietro di quasi 10 anni (era il 2014) e un decennio è davvero un arco temporale tanto breve quanto lungo per smentire oppure confermare delle ipotesi in qualunque campo.

Quello che segue trae semplicemente spunto dal libro. L’articolo che state leggendo va preso per quello che è: il viaggio di curiosità di un’appassionata di miti e scrittura all’interno di un contesto geografico famigliare. Ho qui scelto di riprendere semplicemente alcuni aspetti del testo, accompagnandoli con delle riflessioni. Per amore del fatto che il libro non mi torni a fare la polvere sullo scaffale. Inoltre: mi sono appuntata solo ciò che mi ha colpita, sempre nell’ottica di mettere insieme i tasselli che più mi affascinano. Logico perciò pensare che molte cose interessanti mi siano sfuggite, che altrettante non ne abbia capite e che quanto state leggendo sia il sunto della lettura di una non addetta ai lavori.
Fatte le doverose premesse, confesso di avere deciso di scriverci sopra un pezzo perché avevo degli interrogativi più o meno di partenza. Di alcuni infatti ero già conscia, altri invece sono emersi proprio nel corso della lettura. Si tratta di temi ai quali mi sto scoprendo e riscoprendo legata. Quesiti cui spesso e volentieri non esiste una risposta precisa né, tantomeno, definitiva. Eccone alcuni: qual è la storia dell’antica scrittura della Valle Camonica? Esisteva un femminino sacro espresso, almeno in quest’ambito? Quali luoghi della valle conservano le testimonianze scrittorie più significative? Andiamo quindi al testo e alle informazioni che ho trovato preziose per provare a rispondere.
Il libro è scritto come andava scritto. La sensazione nel leggerlo è perciò quella di entrare tra le pagine di pietra in Valle Camonica insieme al modo di pensare di chi le studia. Un’operazione interessante, non sempre in tutto e per tutto semplice da seguire. C’è però da dire che i contributi dei vari capitoli aiutano a fornire una panoramica d’insieme, spesso anche molto dettagliata. Si tratta quindi di più paper specifici tutti legati principalmente da un luogo (Berzo Demo, dove da poco meno di un anno mi sono trasferita) e da un tema (la scrittura preromana dei nostri antenati camuni). Non restiamo però unicamente nel “trapassato”: verso la fine si trova anche un contributo molto interessante dal taglio più antropologico. Un aspetto che testimonia la necessità di adottare chiavi di lettura multidisciplinari per provare a comprendere un fenomeno tanto complesso quanto affascinante.

Fa bene sottolineare quanto l’ampiezza del corpus delle nostre iscrizioni incise sia davvero considerevole. E, di tutte quelle studiate o quantomeno catalogate fino alla pubblicazione di questo libro sulle pagine di pietra in Valle Camonica, sono due i luoghi che spiccano per abbondanza. Si tratta di Berzo Demo (loc. Loa, cui il testo è in buona parte dedicato) e Piancogno (salendo dall’abitato verso l’Annunciata). Al primo dei due luoghi sono legata per amore e scelte di vita, al secondo per discendenza da parte di madre (o meglio: di bisnonna materna). Questi ovviamente sono riferimenti personali che mi hanno fatto da briciole di Pollicino nella lettura. Li colloco nella sfera delle coincidenze con cui la nostra vita è intessuta.
Berzo Demo e Piancogno. Loa e l’Annunciata quindi. Due affacci sul fondovalle, due luoghi sotto diversi aspetti simili che, da quanto si evince, conservano stratificazioni di culto lunghe millenni. E, a proposito di culti, viene da sottolineare due questioni fondamentali: la difficoltà d’identificarli in modo univoco, per via della progressiva stratificazione. E la presenza per un periodo di tempo lunghissimo di più forme di culto praticate in contemporanea (alla faccia della linearità del tempo). Culti in cui l’antenato e il dio non erano poi forse troppo distanti l’uno dall’altro.
E qui entriamo in un tema tanto delicato quanto affascinante. Quello del ruolo dell’immaginario collettivo, della capacità di ritrarre un mondo ideale, forse più che reale. Un altro degli aspetti legati alle incisioni rupestri (in generale, non per forza solo alle iscrizioni in alfabeto) che mi hanno profondamente colpita. La reiterazione del cervo, la rievocazione forse anche dei propri miti fondativi. E la rosa camuna, probabile associazione al Sole e al contesto dell’iniziazione femminile. Questione che si fa ancora più interessante quando alcune raffigurazioni vengono coperte, anche solo parzialmente, da altre. Damnatio memoriae? E se sì, per quale ragione?
“L’arte rupestre non sarebbe la semplice raffigurazione di momenti del quotidiano ma piuttosto la continua rinascita di un mondo ideale, all’interno del quale sussisterebbero poteri e mezzi sovrannaturali in grado di investire sia l’essere umano che la sfera animale.”
pagina 55
A proposito di simboli… Incisioni di scrittura e incisioni di coltelli si scoprono essere spesso in relazione le une con le altre. Forse un’indicazione di status sociale, probabilmente un chiaro riferimento ad un mondo fortemente al maschile. Del resto, la scrittura era altrettanto probabilmente ad appannaggio di caste elevate. Elemento di prestigio che rientrava nella (o dava accesso alla?) sfera del sacro. Un sacro che, prima dell’arrivo dell’alfabeto latino e spesso anche in modo coevo, si basa su lettere vicine al nord-etrusco. Lettere che era necessario imparare a scrivere, a maneggiare con destrezza. E, alcune rocce in particolare, si prestavano particolarmente bene per esercitarsi in quelli che ora ricordano dei grandi quaderni a righe.
Scrivere, scrivere e ancora scrivere. Probabilmente con un’intensità maggiore rispetto a quanto avveniva nelle vallate limitrofe. Almeno, così lascia supporre la relativa abbondanza di materiale ritrovato in Valle Camonica. All’epoca della pubblicazione del testo (anno 2014), si era arrivati a contare circa 300 attestazioni di iscrizioni preromane in zona. La stragrande maggioranza su roccia. Da qui allo stabilire con certezza quando si sia iniziato a scrivere, è tutto un altro paio di maniche. In generale però, pare ci sia stata una maggiore diffusione delle iscrizioni nella tarda Età del Ferro. Un fenomeno che è andato accentuandosi in parallelo alla Romanizzazione del territorio, sancita in modo per così dire “definito” nel 16 avanti Cristo.

E qui chiudo queste pagine di pietra in Valle Camonica. Lo faccio per provare ad interrogarmi di nuovo sul punto di partenza, sui quesiti che ho trovato disseminati lungo il percorso. Di questo femminino sacro, almeno nella nostra antica scrittura, non mi pare di avere scorto traccia. Mi sembra invece evidente come le tradizioni (del folklore locale e della religiosità dei luoghi) abbiano in qualche modo conservato la presenza del principio femminile. L’Annunciata è del, resto, legata al culto della Vergine. Vergine profondamente onorata anche nelle feste di Berzo Demo. Se poi prendo spunto da uno degli ultimi capitoli, quello dal piglio antropologico, mi viene da soffermarmi sui racconti in cui le streghe non sempre e non per forza vengono dipinte come entità assolutamente malvagie. Al contrario, talvolta nelle leggende locali venivano in aiuto delle famiglie bisognose.
Confesso che da un lato mi spiace – per non dire che “mi scoccia” proprio – individuare ancora una volta la scrittura come sì un atto sacro, ma ad appannaggio della classe maschile. Chissà, forse al momento del suo arrivo in zona, la valenza profonda del matriarcale e dell’equilibrio tra i due principi si era già perduta. Forse invece non c’era mai davvero stata. Oppure forse, chissà… magari sono valori che ritroveremo soltanto scavando più a fondo. Tra le nostre rocce, e soprattutto, in ciò che resta della nostra memoria collettiva.
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