Tornare a viaggiare. Un privilegio per pochi, una necessità per molti. Siamo in tanti a pensare che il Covid ci abbia tolto anche questo, negandoci per lunghi mesi la possibilità di sentirci nomadi. Passeggeri di un treno, di una nave che salpa. Di una notte umida in cui girare la chiave nella toppa ha più significato di tutte le valigie fatte e disfatte nel corso di una vita.

Sardegna, lungo la strada

Viaggiare, tornare a respirare l’aria salmastra e prima ancora l’aria condizionata della sala poltrone o di un bar di un battello. Viaggiare, con gli occhi che si chiudono dalla stanchezza mentre si solcano le onde, senza volersi abbandonare al sonno cullante; impauriti che il canto delle sirene ci getti addosso un sortilegio, sottraendoci alla bellezza fulgida di quell’istante. Di gioia, di riscoperta.

Mai come nell’estate 2021 ci siamo sentiti liberi di viaggiare, quasi in dovere di rendere giustizia a quella parte di noi che ferma non sa stare e che non dovrebbe comunque farlo per più di un certo periodo.

Non significa per forza parlare la stessa lingua delle vacanze, dell’abbandono indolente ad una spiaggia, con il sole che ci scioglie di dosso la salsedine e ci sbianca le unghie. Viaggiare non è per forza questo, anche se troverei profondamente ingiusto definire il viaggio in modo univoco ed inequivocabile per tutti. Forse proprio perché l’equazione viaggio = libertà ne rivela la parte più veritiera, quella alla quale tutti prima o poi torniamo. Viaggiare rende liberi, ci fa tornare a quell’esigenza primordiale di staccarci dalla terra, da un porto, dalla stagione statica che alla fine di ogni corsa ci imprigiona.

Con lo zaino (quasi sempre) in spalla

Ognuno è un po’ antropologo di sé stesso e trova da solo le risposte che contano, ad un patto però: che si metta in cerca, che le rincorra tra i chilometri, o semplicemente tra le onde. E ad ognuno la sua meta, il suo punto d’arrivo in questo vasto mondo sballonzolante e mai davvero fermo: quel luogo più o meno precisato su di una mappa che si possa, anche solo per qualche giorno, nuovamente definire “casa”.

Per mettermi in gioco, per pizzicare le corde più profonde di quest’animo viaggiatore che da troppo tempo erano rimaste silenziose, mi sono fatta cullare dalla strada. C’è da dire che avevo un buon autista, uno di quelli che ti danno in consegna l’atlante stradale quando il segnale si fa inesistente. Ma anche uno di quelli che sono pronti ad accostare alla bellezza di un nuovo sperone roccioso da fotografare e… all’urgenza (casualmente simultanea) di una vescica da svuotare.

Tra le foreste della Sardegna, con lo sguardo all’insù

La meta non c’era, c’era solo il viaggio. Con tante piccole-grandi tappe quante la mente ne potesse assorbire nel corso dei giorni. Perché una cosa sola si stava cercando, insieme allo staccare le ali dal suolo e tornare a sentirsi vivi, parte di un mondo più vasto del quotidiano. E quella cosa era capire, nel profondo (e per quanto possibile in pochi giorni) una terra: la Sardegna.

2.289 chilometri on the road, da Malegno a Malegno, dal 29 luglio al 9 agosto. Disegnando un nuovo perimetro a quest’isola meravigliosa. Scherzando con il profilo frastagliato delle sue coste, componendone i pezzi del puzzle e ricercandone le corrispondenze negate nelle asperità dell’interno. Un viaggio, tra il profumo pizzicante dell’elicriso e l’incanto dei nuraghi abbandonati, tra l’azzurro smeraldino dell’acqua e le ombre sanguinanti delle foreste di sughero. Con la Murgia, la Deledda, Lilli e Vittorini a drappeggiarne una nuova e intensa sagoma d’altrettanto intense parole.

Il mare, specchio d’argento nella luce del mattino

E, gira che ti rigira, come da ogni grande o minuto viaggio che davvero si compie, siamo tornati due volte al punto di partenza (Olbia prima, la Valle Camonica poi), per accorgerci che la più grande trasformazione non era passata attraverso l’immagine catturata dalla retina dei nostri occhi, ma nel nuovo modo con il quale abbiamo imparato a cercarci nello specchio.

Questa però, è materia per un altro post. E per i mesi che verranno, in cui ciò che si è mostrato al nostro sguardo chiede giustizia e implora di venire assecondato, anche da fermi. Giorno dopo giorno, portando avanti la strada intrapresa e senza paura di percorrerne di nuova, per quanto aspra possa essa sembrare. O anche semplicemente e profondamente: essere.