Ogni cosa che sparisce ha un suono. Un suono che stiamo per perdere, un suono che scorre come il vento per non tornare più. Non è raro che gli elementi della natura condividano la caratteristica della mutevolezza. Non si tratta solo di un aspetto di forma, ma proprio della stessa sostanza di cui sono fatte le cose: la sottile ed immensa differenza tra l’esserci e il non esserci. Il perdurare appartiene a pochi. Il durare in eterno dovrebbe essere prerogativa dei ghiacciai, i nostri grandi serbatoi d’acqua dolce. Il ghiacciaio che scompare è il ghiacciaio visto sotto la prospettiva della nostra epoca. Una prospettiva d’incertezze, dove la precarietà sembra essere divenuta parte integrante del chi siamo e del dove stiamo andando.

Temù, 4 agosto 2023.

Il ghiacciaio che scompare, in qualche modo anche abbastanza esplicito è lo specchio dei nostri tempi. Per questo mi va di tornare sull’argomento, non senza prima fare una premessa. Così com’è impossibile bagnarsi due volte nello stesso fiume, allo stesso modo è utopistico pensare di poter preservare tutto. Significherebbe che il mondo non cambia, che noi non siamo soggetti alle leggi eterne del Tempo. Eppure, ci sono elementi che in questo vellutato scorrere di mutevolezza dovrebbero restare tali. Scogli in mare ai quali aggrapparci nel naufragare – non sempre dolce – dei nostri pensieri. Tutto scorre, tutto muta, ma i ghiacciai delle nostre Alpi non dovrebbero essere sul punto di morire. Se lo sono – e in buona parte lo sono – diventa opportuno farsi delle domande.

Avevo già toccato l’argomento, sempre su questo blog. Scrivevo del nostro addio al freddo, colpita da un libro e da un progetto sonoro. Torno sull’argomento per tante ragioni che, a differenza della similitudine tra i nostri tempi sdrucciolevoli e le nevi perenni in discioglimento, non sono così esplicite. La prima è che sto scrivendo un reportage sull’Armenia, una terra carica tanto di mistero quanto di senso di perdita. La seconda è che vivo uno dei miei periodi in cui il bisogno di portare fuori da me l’introspezione si fa più forte. Ed è un’introspezione che grida, urla della necessità di non lasciare che le cose – quelle importanti – vadano perse. Nello scorrere dei giorni, nell’assottigliarsi degli anni, che come la crosta sottile dei secoli si fanno lastre scivolose senza lasciare appiglio.

C’è un sottofondo drastico in queste parole, me ne rendo conto. Ma è dato da una sensazione di urgenza, non solo espressiva. Si tratta della stessa sensazione che ho avuto all’uscita da un evento, venerdì scorso. Ero a Temù (Brescia) per riascoltare UN SUONO IN ESTINZIONE, lo stesso progetto di ricerca artistico-scientifica che mi aveva colpita qualche mese fa. All’evento, inserito nel calendario dei festeggiamenti per i 40 anni del Parco dell’Adamello, oltre a Sergio Maggioni – curatore del progetto – partecipavano anche i volontari del Servizio Glaciologico Lombardo. Una realtà che si occupa di studiare, monitorare, fare ricerca sui ghiacciai, senza trascurare gli aspetti di formazione-divulgazione e il mantenimento del territorio. Ho ascoltato – come i tanti riuniti in sala – le voci dei volontari, seguite dal lamento del nostro Ghiacciaio dell’Adamello. Il ghiacciaio che scompare.

I dati che riporto in questo pezzo vengono dalla serata. Se qualcosa non corrisponde alla realtà, può essere che sia dovuto all’emozione di averli appuntati mentre realizzavo in modo ancora più chiaro quanto poca sia la vita che resta a questa meravigliosa riserva di acqua dolce. Oggi il Ghiacciaio dell’Adamello ha un’estensione sotto i 14 chilometri quadrati, per circa 270 metri di profondità. In Lombardia ci sono 203 ghiacciai. Sulla Terra se ne contano 198.000. Ma sono dati in continua evoluzione, ai quali appigliarci ora giusto per comprendere meglio il fenomeno. Dei nostri ghiacciai, ogni anno in Lombardia perdiamo una superficie che si aggira sui 220 campi da calcio. Duecentoventi campi da calcio che si sciolgono. All’anno. Ogni anno.

Non si tratta solo di parti di ghiacciaio. In alcuni casi, sono ghiacciai veri e propri. Entità un tempo salde e sicure, che contribuivano a rendere saldo e sicuro il mondo di nostra conoscenza, la realtà di nostra competenza. Il Ghiacciaio del Trobbio è un esempio di realtà che non esiste più. Cosa c’è al suo posto? Cosa resta quando il ghiacciaio che scompare è diventato cosa del passato? In alcuni casi resta la vegetazione che sale di quota, in altri l’invasione antropica che non si fa sfuggire l’occasione. Soprattutto, resta meno acqua. Il 28% dell’acqua che arriva alla foce del Po deriva dalla fusione – un fenomeno naturale – dei ghiacciai. Facile immaginare come da quest’acqua dipendano agricoltura, economie locali, produzioni elettriche, sviluppi territoriali.

Temù, 4 agosto 2023.

Ma non è solo questo che stiamo perdendo. A venire meno è anche la memoria del nostro passato, come ci raccontano i progetti di carotaggio e studio degli strati di ghiaccio dei ricercatori di ADA270 e CLIMADA. Saranno proprio questi studi a permetterci di capire la vita dell’ultimo millennio, grazie all’analisi della memoria storica contenuta nel Ghiacciaio dell’Adamello. Il ghiacciaio che scompare. Il ghiacciaio al quale restano – se le condizioni attuali di surriscaldamento non variano – ancora 4 decenni di vita. 40 anni, non di più.

Il Ghiacciaio dell’Adamello è il più grande in Italia. Dal carotaggio di ADA270 del 2021 ad oggi, ne abbiamo già perso ben 5 metri in profondità. La sua area di accumulo praticamente non esiste più. Un’idea della rapidità del fenomeno? Quando sono nata io, nel 1988, il ghiacciaio misurava sui 2.221 ettari. Oggi siamo sotto i 1.400. Ho 35 anni, io non so se nel frattempo sono davvero cresciuta. Di contro, lui di sicuro si è fatto più piccolo. E questo perché fino agli anni Ottanta l’andamento della temperatura era abbastanza costante. Non come le impennate del 2015 o del 2022. Che non vanno prese solo a livello singolo, ma contestualizzate in un trend di cambiamento. Preciso che non sono una glaciologa, una scienziata. Sono una professionista della comunicazione che crede nel potere della divulgazione. Eppure, a me tutto questo sembra così chiaro. E così inquietante.

Temù, 4 agosto 2023.

Il suono del ghiacciaio nell’arco della giornata è come il respiro di un gigante. Quando dorme fa meno rumore. Con il crescere della luce e della temperatura aumenta di decibel, rendendo più intensa la sua attività di scioglimento. Un fenomeno che sarebbe anche normale, se riuscisse poi a recuperare neve da trasformare in nuovo ghiaccio. Invece continua a perdere, scivolando a valle in acqua dolce che a un certo punto arriva al mare, dove dolce non lo è più. Di ciò che ha detto Sergio Maggioni venerdì sera c’è una cosa in particolare che mi sono appuntata: “il suono di una cascata di fusione si propaga per chilometri.” Cosa sentiremo in montagna – e nei chilometri tutti attorno – quando questo suono si spegnerà? Quando il ghiacciaio che scompare apparterrà alla memoria uditiva del nostro passato?

Stiamo perdendo una parte di chi siamo, di chi siamo stati e anche di chi saremo. Per poter parlare in modo consapevole di futuro, credo sia fondamentale avere chiare le radici su cui poggia il nostro presente: il passato. Un passato che è fatto anche di storie di ghiaccio, storie che raccontano come il mondo è mutato nell’ultimo millennio. Storie in grado di dirci verso quale direzione abbiamo deciso d’avventurarci. A noi la scelta di preservare il preservabile, facendo in modo che una componente identitaria del nostro essere – componente che coincide con un fondamento di sopravvivenza per i nostri sistemi – non si sciolga per sempre. Cosa resterà del ghiacciaio che scompare? Mi piace pensare che la risposta non sia: “il silenzio”.