Sono emozionata. Sono emozionata perché era da un po’ che non preparavo più la presentazione di un libro. E sono emozionata anche perché il romanzo di Sara Brizzi, CARLOTTA Streghe, fantasmi e luoghi misteriosi in Valle Camonica, mi ha piacevolmente sorpresa. Per questo le ho chiesto se, in vista della presentazione del 5 maggio a Ono San Pietro (vi lascio i dettagli nell’immagine sotto) potessi scriverci sopra due righe. Fa sempre un po’ strano scrivere su qualcosa che è stato scritto da qualcun altro. Sembra di andare nel campo del meta, della “somma di mille riassunti“, per dirla un po’ alla Bersani. Ma questo spazio è stato pensato anche per accogliere le storie luminose di altri. E questo romanzo ha il suo bel raggio luminoso da proiettare sulle storie di tutte noi.

Ho accettato di presentare il libro praticamente a scatola chiusa, mi è bastato il titolo. Da quando mi sono messa sulle tracce del femminino sacro, le storie di stregoneria tornano spesso a farmi visita. E poi la richiesta arrivava da una vecchia conoscenza e il luogo m’intrigava. Con Sara sono finita prima a sentirmi per telefono, poi via mail, infine di persona. Avevo quindi ricevuto indizi a sufficienza per arrivare alla lettura sapendo più o meno che cosa aspettarmi sul piano narrativo. Eppure, verso la fine delle pagine due lacrimucce mi sono scese comunque.
Senza fare troppo spoiler su questo romanzo uscito l’anno scorso, ci sono diversi aspetti della narrazione che mi hanno colpita. Oltre alla caratterizzazione dei personaggi, ecco cos’ha risvegliato il mio interesse: la dimensione magica, quella femminile e l’ambientazione storica. La convinzione che le cose nella vita non arrivino mai a caso mi ha fatto sorridere il cuore prima e durante la lettura. Forse perché sono anche io sulle tracce di alcune mie antenate, mi sono sentita presto coinvolta.

Sara già al telefono aveva messo le mani avanti: “La mia è una storia semplice, volevo che emergesse quella dimensione magica che contraddistingue l’infanzia. In una cornice pulita, legata alla montagna e alle tradizioni di una volta.” Vero. La vicenda narrata potrebbe a un primo sguardo sembrare semplice. Ma più ci s’inoltra nella lettura, meglio si percepisce il lavoro d’intreccio di alberi genealogici a livello matrilineare. Storie di persone che la fantasia della scrittrice ha unito a diverse leggende dell’Altopiano del sole.
Per la maggior parte del romanzo infatti, ci troviamo grosso modo nell’area di Borno, Paline, Prave. Antichi borghi segnati dal passare del tempo e da un sostrato d’aghi di pino, storie tramandate di generazione in generazione e suggestioni popolari. La protagonista è la Carlotta del titolo, che nel corso della narrazione scopre di avere ricevuto delle abilità particolari. Abilità che ha in comune con altre figure femminili del romanzo e che le consentono in qualche modo di squarciare il velo tra il mondo visibile e quello invisibile. Così entrano in gioco presenze del passato, a volte colpevolizzate proprio per abilità simili: in alcuni casi percepite come maledizioni, in altri come veri e propri doni.

Di Carlotta, Simona e delle altre donne del romanzo preferisco che sia direttamente Sara a parlare il 5 maggio. Oppure che il lettore ne scopra le caratteristiche leggendo il libro. Qui m’interessa invece indagare alcuni aspetti non tanto della narrazione, quanto del fascino che questi argomenti ancora suscitano. E penso che questo fattore sia spesso legato ad una questione di luoghi e di vissuti strettamente personali.
Quando qualcosa ci chiama, chiama noi al singolare. Ci chiama perché risuona nel nostro vissuto, nella nostra vocazione, nel nostro modo di essere. Possiamo anche essere curiosi di qualcosa in generale, ma per sentirci davvero legati abbiamo bisogno di calarci nel particolare, nel dove, nel quando e nel come. Sarà che a questa lettura ho intervallato Il codice dell’anima di quel meraviglioso immaginalista di Hillman, ma queste convinzioni mi si sono radicate dentro. Per mostrarsi nella sua potenza, la ghianda della nostra vocazione interiore chiede almeno un mentore e sicuramente molti stimoli in cui permetterci di riconoscere la sua essenza.
Quando era rimasta incinta la prima volta, aveva sperato di partorire un figlio maschio, perché aveva letto che i poteri si trasmettevano di figlia femmina in figlia femmina e aveva desiderato interrompere quella catena, ma non ci era riuscita, perché aveva avuto tre figlie femmine.”
“CARLOTTA. Streghe, fantasmi e luoghi misteriosi in valle camonica”, di sara brizzi, p152-153
CARLOTTA Streghe, fantasmi e luoghi misteriosi in Valle Camonica mi è risuonato dentro perché sono alla ricerca delle mie antenate e della forza intrinseca dei luoghi in cui sono vissute. Una linea sottile che permette di salire di figlia in madre percorrendo a ritroso le proprie radici. Dopotutto, i secoli ci parlano non tanto per date e fatti storici, quanto per i miti e le storie che li hanno contraddistinti. Per le persone con cui sentiamo di avvertire una connessione, scoprendo che il Tempo lineare esiste solo come invenzione del pensiero razionale.
Per questo nel leggere il romanzo, per quanto semplice Sara lo voglia definire, mi sono sentita in qualche modo a casa. Mi sono sentita a casa nel suo cercare di tramandare aneddoti e ricordi, affinché i racconti di famiglia non andassero perduti. Mi sono riconosciuta almeno un poco nel suo desiderio di andare a ritroso, quando non nella realtà dei fatti almeno con la forza dell’immaginazione. E ho amato il suo interessarsi al concetto di “dono“.

Nel libro, il dono è qualcosa che si eredita per via materna e che appartiene quasi esclusivamente alle donne. Qualcosa che rende speciale la persona in quanto le conferisce una caratteristica per lo più assente nel vasto panorama dell’essere umano. Sognare, avvertire presenze, riconoscere un forte legame con la Natura e le sue forze. Questi sono doni, non sono soltanto espedienti narrativi del genere fantasy. Possiamo scegliere di ignorarli, soffocarli, abbandonarli, ma sarà sempre a nostro svantaggio. Possiamo decidere di connotarli in modo negativo, soprattutto quando non ci appartengono… ma sarà fonte di incomprensioni, divisioni, congetture e anche persecuzioni.
Ascoltare e provare a comprendere le leggende è una scelta. Risalire un ipotetico albero genealogico è una scelta. Aggrapparsi a un territorio e alle vicende che ne hanno plasmato l’immagine è un’altra – forte – scelta. Viviamo di scelte, viviamo delle immagini che proiettiamo e in cui scopriamo di sentirci a casa. Ecco perché credo che anche un “semplice” libro che scavalla il fantasy e tocca il cuore “semplice” di un bambino abbia tanto da dire. Soprattutto alle donne, spesso perseguitate nel corso dei secoli. Solo in parte consapevoli del loro immenso potere e di tutto il fascino della loro storia, sia essa collettiva o personale. Ben venga la narrativa allora. Ben vengano le donne che si mettono sulle tracce delle altre donne e di ciò che le rende, semplicemente, “speciali”.