Milano da bere, diceva una (bellissima) pubblicità dell’Amaro Ramazzotti: un modo molto ben riuscito di raccontare una città. Forse proprio perché Milano è tante cose che non mi appartengono e che negli anni ho imparato a riconoscere come distanti, tornare in questa città anche solo per un giorno mi è difficile da sintetizzare. 

Milano è di fatto difficile da raccontare. Sfugge ad una definizione un po’ come certe città di Italo Calvino. La osservi, la attraversi, lei a sua volta ti osserva e ti attraversa. Ma chi coglie che cosa? Sabato sono tornata in questo capoluogo delle meraviglie dopo tanto, troppo tempo. Ci sono luoghi che più ci respingono, più dovremmo imparare a percorrere, se non altro per il piacere di metterci allo specchio con il racconto dei nostri contrasti interiori. 

Questa volta, dopo un tragitto in autostrada dai mille lavori in corso e un giornaliero della metro caro al pari di un ingresso a museo, voglio correre il rischio di scriverne, di raccontare una città. Milano forse non è più quella metropoli da bere: a me è sembrata una città tra parentesi. Incastonata, oppure incistata, tra due contrafforti analoghi eppure lontani. 

dalla mostra temporanea sull’arte di Mario Sironi

Ovviamente si tratta di una chiave di lettura, di un finto espediente per provare a tenere un diario delle impressioni d’un pomeriggio. Un esercizio di scrittura, più che di stile, giusto per non annoiare la penna della copywriter che a una certa non vuole scrivere solo di brand e di strategie di comunicazione. Milano per me, e per me soltanto, è stata un percorso tra fermate e una fermata tra scorci d’arte. Sottolineo il “per me soltanto” perché nulla di questa narrazione deve sembrare aspirare al collettivo, o all’assoluto. Si tratta in fondo di un diario sconclusionato, con la certezza di essere una parentesi tra due mondi: quello della settimana lavorativa (la mia) e della routine della città del lavoro (la sua). 

Ho scoperto una nuova Milano salendo le rampe del Museo del Novecento. Ho acquartierato nello zaino portato in grembo la vergogna di non averlo mai visitato prima. Una vergogna giustificata a metà dal “tanto c’è sempre, prima o poi passo e me lo guardo”. Una vergogna che nessuna pandemia può stavolta giustificare. E qui, tra una mostra temporanea sul genio un po’ tormentato di Mario Sironi e le esposizioni permanenti, ho trovato la mia parentesi di respiro. Come un inciso nella frase della frenesia dell’ultimo periodo, del continuo storytelling sui social, del rumore di fondo di un’intera città ammassata dietro alle grandi vetrate spioventi di luce. Milano, racchiusa nel racconto del suo Secolo Breve.

Di quel Novecento fattosi ancora più corto per via di quei segni di punteggiatura: la maiuscola all’inizio del percorso del visitatore, il punto di fine periodo al termine della visita. Un museo ampio quanto le grandi tele che ne definiscono il cominciare e ne racchiudono il termine prima di uscire in Piazza Duomo, illuminati di riflesso dalla magnificenza della Storia. 

l’incontro con il Quarto Stato

Pellizza da Volpedo è un buco nella tela. Sono gli occhi fissi di un uomo che avanza. Uno sguardo eterno a corroborare il movimento di una persona, di una folla resa muta, di una classe che scalpita. All’estremo opposto del percorso, il Quarto Stato si rispecchia in Festa Cinese, di Mario Schifano. Dal 1901 al 1968. Una parentesi di Storia appunto. In mezzo, ci sta il racconto per correnti e per immagini di un’intera città, come di un personaggio mai stanco di cercare un nuovo autore con cui calcare il palcoscenico della vita. Questa Milano mi è piaciuta. Mi ha saputo parlare, con tutta la forza prorompente del Futurismo, le speranze infrante e i sogni spenti di Sironi. 

Per raccontare una città, forse allora davvero la dovremmo attraversare senza fretta. Restando sospesi nelle sue parentesi di racconto. Senza saltare le frasi, lasciandosi travolgere dagli incisi di arte, ricordi e memorie del tempo passato. Del tempo su cui poggiano le fondamenta instabili del Presente, su cui passeggiano i fenicotteri rosa dei giardini privati e in cui aleggia quieto il silenzio di ogni Quadrilatero. 

al Museo del Novecento

Sto mischiando i quartieri, i periodi, gli stili architettonici e le tante faune che ancora li popolano. Eppure una città, se non ha questa varietà infinita da offrire sul piatto del racconto, di cosa sfama i suoi visitatori? Restituire una città non è opera facile e con questa parentesi grassa ma scarnamente raccontata, mi è riuscita forse neanche a metà. Raccontare Milano e riuscire a renderne lo spirito eclettico, mai sazio di cambiamenti e giravolte di Storia, è un’arte che ancora mi sfugge. E che forse è giusto continui a sfuggire, al di là di ogni prigione semantica, di ogni parentesi comunicativa.