Ci sono fenomeni lunghi, ampi e larghi. Cambiamenti che interessano il nostro modo di pensare il mondo, di viverlo e conoscerlo. Trovare traccia di queste rivoluzioni epistemologiche, spesso lente e raramente lineari, è una benedizione. Inseguendone il corso, impariamo a comprendere meglio la nostra Storia e anche l’origine del nostro modo di essere. Dopo Pagine di pietra, ho deciso di addentrarmi ulteriormente nei millenni di questa terra. Questa volta, ad accompagnarmi è stato un libro che colloca la Valle Camonica Alle radici d’Europa. Edito da Electa, pubblicato nel 2022, questo volume di Umberto Sansoni con prefazione di Emmanuel Anati, andrebbe divulgato il più possibile.

Ho scelto d’inserire qualche riflessione scaturita dalle pagine – e dalle rocce – su questo blog. Forse perché questa sezione del sito, invece che chiamarsi appunto piattamente Blog, va sotto il nome di Storie luminose. E di luce, appunto, da queste incisioni ne esce tanta. Come in ogni cosa poi, nella storia così come nella comprensione dei luoghi – ho Napoli che palpita ancora sotto le palpebre – la differenza la fa la visione. Il “cosa mi porto a casa” da una città, così come da una lettura, è una questione di esperienze, emozioni, accadimenti. Ma soprattutto, si tratta di riuscire ad inquadrare gli elementi in modo tale che ti parlino, restituendoti un messaggio.

Già, ma come si forma un significato? In che modo costruiamo dentro di noi una lettura della realtà? Credo sia affascinante porsi la domanda ogni volta che ci rapportiamo a qualcosa di nuovo. Prevale un approccio materico, oppure quello prettamente emotivo? Bellezza è pensare che esistano più lenti attraverso cui scrutare il mondo. E che per sceglierle facciamo riferimento al personalissimo sostrato di vita sul quale poggiamo, ma anche alla visione figlia della cultura in cui viviamo. Weltanschauung, sì: stiamo parlando proprio di quella.

Qual era quella degli antichi abitanti delle vallate alpine? Per capirlo, leggerlo, studiarlo e farlo nostro, è prima di tutto interessante provare a ribaltare i termini di confronto. Quale approccio sto io adottando nel cercare di comprendere la visione degli antichi? Secondo quali parametri sono disposto ad interpretarne il lascito?

Alle radici d’Europa di Umberto Sansoni mi è piaciuto perché coraggioso. È coraggioso nell’andare a provare a leggere 10 secoli di storia della Valle Camonica. Ed è coraggioso nel provare a farlo con un taglio non eccessivamente tecnico, bensì abbastanza divulgativo. E lo fa mettendo insieme i singoli pezzi, provando cioè ad interpretarne la valenza in un insieme più complesso. In una visione d’insieme. Insomma: questo libro mi è piaciuto perché mi è stato utile nel provare a capire come si sia evoluta la visione del mondo di chi ha vissuto la mia Terra nel corso dei millenni.

Di questo, c’è un aspetto in particolare che m’interessa e in cui la pubblicazione mi è stata di grande aiuto. Come siamo cambiati? Quando e quindi anche perché, ad un certo punto abbiamo smesso di dare valore agli stessi principi? Sembrerà banale a chiedersi – in 10.000 anni grazie al piffero che si cambia! – ma osservare da vicino questo moto di modifica interiore è quantomeno arricchente. E sconcertante. Provo a raccontarne il perché.

Prima però contestualizziamo: il libro che ho tra le mani, e che colloca le incisioni rupestri di Valle Camonica alle radici d’Europa, ha solo qualche mese. È però il frutto di almeno 4 decadi d’interessamento personale da parte dell’autore e si basa sia sull’osservazione diretta che sul confronto delle fonti, appoggiandosi quindi anche a studi preesistenti. Ora, qualcuno potrà forse obiettare che noi Camuni abbiamo la leggera tendenza a sentirci al centro del mondo. Perché dovremmo osservare proprio la nostra terra per comprendere come la visione da cui è scaturito l’odierno pensiero occidentale si è evoluta oltre i millenni?

Perché la Valle Camonica vanta la principale concentrazione d’arte rupestre del continente. Sì, ma perché andare ad analizzare proprio le incisioni rupestri? Bè, perché hanno preceduto – e di parecchio – l’arte della scrittura così come comunemente la intendiamo. Queste testimonianze sulla roccia hanno avuto la capacità di durare e perdurare nel tempo. Quanto rappresentano, che si tratti di immagini del realmente vissuto, oppure di un mondo idealizzato, è come un lungo racconto su un’immensa lavagna. Una lavagna che per 10.000 anni almeno, se impariamo a leggerla, ci restituisce le radici del mondo alpino. Oppure… oppure proprio dell’intero continente europeo, vista l’esiguità di fonti a parimerito non deperibili. Fantastico. Pazzesco. Ma cosa ci raccontano?

Con questo pezzo non mi voglio addentrare nei riconoscimenti internazionali, nelle soglie tra una scuola di ricerca e l’altra né tantomeno nelle modalità di gestione del patrimonio del nostro territorio. Come già evidenziato nel pezzo sul testo Pagine di pietra, non sono un’archeologa. Aggiungo qui che non faccio politica e che a muovermi è un interesse di carattere personale. Ho bisogno di capire. Di esplorare perché ad un certo punto il principio del femminino sacro anche qui sia uscito dai radar. E le incisioni rupestri, prese in ordine di apparizione, ci restituiscono lo spaccato della visione del mondo – quella Weltanschauung che tanto figo fa citare – che progressivamente è andata mutando.

Certo, si tratta di cose note: ad un certo punto la donna ha assunto minore importanza nel corso dei secoli. E con essa, tutto il corredo di compiti e valori che si portava dietro. Ma seguire il tracciato di questa sparizione progressiva su un’immensa lavagna estesa a buona parte del territorio camuno penso sia emozionante. E anche utile: come dicevamo sopra, l’abbondanza di queste tracce durature ci permette di osservare l’evoluzione del pensiero alpino. E, in fin dei conti, anche di quello occidentale. In pratica sì, qui poniamo davvero la Valle Camonica alle radici d’Europa!

Altra precisazione doverosa: quello di Sansoni non è un libro specifico sul femminino sacro. Qui sono io che ne prendo un filone, una vena aurifera, e che ne seguo il corso per comprenderne l’evoluzione. Penso però che chi vive con entusiasmo la dinamica del femminino e quella delle testimonianze antiche possa trovare materiale interessante tra queste pagine. A cominciare dalle incisioni rupestri che raffigurano donne o oggetti, situazioni, cui queste venivano associate. Ad un certo punto però, come anticipato sopra, queste raffigurazioni al femminile arrivano a un’eclissi.

Utile è comprendere l’alternarsi delle scoperte e di come hanno rivoluzionato l’asse del pensiero. Una di queste fu l’agricoltura. Il mondo smise di essere un luogo in cui vivere dediti alla caccia e alla raccolta e la concezione stessa della Natura probabilmente cambiò. Immaginiamoci i nostri antenati che passano da un’attenzione animista verso l’ambiente in cui sono immersi ad una vita di tipo sedentario in cui la concentrazione si focalizza sulle attività antropiche. E quando si parla di agricoltura ci sono i campi da arare, seminare, curare finché qualcosa non germina, cresce, muore, si rinnova. L’eterno ciclo di sali-scendi dalle viscere della Terra al mondo per come lo conosciamo. Azioni in cui la donna ha un ruolo molto importante, e si sente.

La figura dell’orante, il leitmotiv, è ripetuta in centinaia di immagini con un’enfasi scenica sulla dimensione femminile (in percentuale, il 55% delle figure sessuate), che ben si accorda con il risalto della figura muliebre nell’intero quadro neolitico continentale. Pur non mancando i contesti caratterizzati da una forte attenzione per l’immagine maschile […], raramente associata all’altro sesso, e pur essendo numerose le figurazioni asessuate (perlopiù però sospette di essere femminili o comunque connesse in delle rappresentazioni con figure femminili), emblematiche sono le numerose scene in cui l’orante femminile è centrale, fulcro o interprete unico”

“ALLE RADICI D’EUROPA”, di Umberto Sansoni, p27

Ma il cambiamento di visione introdotto dall’agricoltura non è l’unica rivoluzione alla Weltanschauung che troviamo sulle nostre antiche incisioni. Nel III millennio a.C., con il Calcolitico, si verifica un’altra grande svolta. Sulle rocce affioranti emerge ora un approccio più spontaneo, con simbologia ctonia. Sulle stele invece, si erge uno stile più ortodosso, con simbologia uranica. Qualcosa inizia a mutare quindi. Iniziamo già ad assaporare le radici del culto del guerriero, della società patriarcale. E scopriamo l’amore e il rigore delle strutture megalitiche. Siamo agli albori, al seme della visione indoeuropea. Si punta verso l’alto, s’impianta un nuovo ordine cosmico, gli uomini costruiscono dei veri e propri siti. L’elemento solare emerge in posizione centrale e, in generale, si assume un approccio sempre più monoteista.

Poi, in questo viaggio nella Valle Camonica alle radici d’Europa, qualcosa cambia ancora. Siamo nell’Età del Bronzo, quando armi e monili vengono affidati anche alle acque. Come al Lago d’Arno, dove sono stati rinvenuti un’ascia a margini rialzati e degli spilloni. E piano piano, chi è in grado di forgiare e lavorare il metallo assume un ruolo di rilievo. Padroneggia l’elemento del fuoco, lo stesso usato per i riti del Brandopferplatz. L’arma e il disco diventano i cardini rappresentativi del nuovo assetto simbolico. Sono l’essenza della trionfante visione uranica, sacerdotale e guerriera. Sono questi i secoli del fabbro, delle divinità del tuono e del fulmine. L’eroe assume la sua spada e con essa s’identifica, dalla sacralità del suo metallo trae forza e prestigio. Il processo di Indoeuropeizzazione ha ormai solide fondamenta.

Ma il mondo femminile qui c’è ancora. Ci sono le palette, i telai della tessitura muliebre, c’è la ritualità sciamanica. C’è, ma si avvia verso il declino. E con l’Età del Ferro entriamo gradualmente nella Storia. Entriamo nella fase che in assoluto ha avuto la maggiore diffusione di incisioni rupestri, probabilmente anche con la nascita di scuole artistiche. Tutto ha inizio nel XII secolo a.C., con un raffreddamento del clima e le grandi invasioni di popoli di matrice indoeuropea.

Ora, a farla da padrone assoluto nelle raffigurazioni è la figura del guerriero. La società si è stratificata, l’assetto è eroico-aristocratico. Da noi forse mancano gli eserciti, ma il senso di conflittualità è costante. La donna è praticamente assente, tranne che in alcuni simboli e in scene di accoppiamento. Ricordiamolo: è al momento dell’accoppiamento che ha luogo l’unico atto generativo di carattere maschile.

La storia delle incisioni rupestri prosegue. Continua attraverso i secoli, arriva fino a qualche decennio fa. Cambia la visione del mondo, cambia chi la fa da padrone, cambiano i culti. Ma qualcosa, come abbiamo visto, è già andato perduto. E da questo dipendeva il mio senso di sconcerto iniziale. Perché se la nostra cultura occidentale si basa sì sui Greci antichi, ma ha come sostrato la visione del mondo di ceppo indoeuropeo, allora è vero. È vero che da interi millenni ci portiamo dentro il gene di una mancanza. Di una perdita. Di un principio primo, quello femminile, che eclissandosi ha scompaginato il nostro equilibrio (interiore ed esteriore).

Ecco perché questo viaggio che pone la Valle Camonica alle radici d’Europa è per me stato più che leggere un testo. Ha significato andare alla origini di questa mancanza. Ringrazio chi per decenni ha dedicato i propri sforzi allo studio costante di quella grande lavagna di pietra che è la nostra valle. Sono grata per ogni spunto che la lettura del libro Alle radici d’Europa. Dieci millenni d’arte rupestre in Valcamonica e nelle Alpi Centrali di Umberto Sansoni è stata capace di offrirmi. E ringrazio gli antichi, ma soprattutto le antiche. Che a un certo punto siate sparite da questa lunga e complessa lavagna è per me ancora motivo di profondo rammarico. E un po’ anche di mistero.