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I primi tre libri della Storia d'Italia, di Indro Montanelli

LA STORIA di Indro Montanelli

Scrivere in modo chiaro e per tutti: se c’è qualcosa che LA STORIA di Indro Montanelli insegna è proprio questo. C’è sempre un modo per arrivare agli altri con la scrittura e, se si è bravi, si riesce a rendere interessante anche un argomento a detta di molti “noioso“. Anzi no: oggi non diremmo “interessante“, ma “accattivante“. Perché le cose ormai o hanno il potere di catturare anche il più svogliato e distratto dei lettori, o non hanno ragione d’essere messe online.

Chissà cosa ne penserebbe Montanelli, che per avere scritto dodici volumi dedicati alla Storia d’Italia venne additato, accusato, messo al muro e probabilmente anche ridicolizzato. Leggere LA STORIA di Indro Montanelli o, per essere precisi LA STORIA D’ITALIA, equivale a togliersi lo sfizio. Quel guilty pleasure, sempre come preferiremmo dire oggi, di scoprire cosa contengono quei libroni collezionati con Il Corriere e messi in bella mostra nel soggiorno di famiglia. Penso che per molti, la sensazione aprendo questi libri sia stata così. Rompere il tabù di polvere e arredamento, per spostare l’oggetto libro dalla sfera della suppellettile decorativa, al suo legittimo regno. Quello delle storie da raccontare.

Estate 2021: finalmente, dopo mesi di attesa, rompo l’idillio dello scaffale e mi decido ad aprire il primo volume. Anzi, l’esatto opposto… tentenno. “Da dove si comincia?” LA STORIA di Indro Montanelli va letta dal Crollo dell’Impero Romano d’Occidente, oppure dalla nascita della civiltà greca? Tra una rovina e un ingresso nella cronologia del mondo, ho preferito il secondo. STORIA DEI GRECI, poi STORIA DI ROMA e infine il primo volume di STORIA D’ITALIA. Sono sopravvissuta alla lettura allegramente e senza troppi danni collaterali. Eccezion fatta per uno, lo stesso tarlo che a distanza di settimane mi sprona a scrivere: “Come diamine ha fatto?!”

Il primo volume di LA STORIA D'ITALIA, accompagnato da LA STORIA DEI GRECI e da LA STORIA DI ROMA

Già… come diamine ha fatto Montanelli a entrare nel vivo di un’infinità di mondi, vite e uomini, letteralmente un secolo dopo l’altro e a rendere tutto così terribilmente irresistibile? Quando di mestiere scrivi, ma non fai lo scrittore nel senso comune del termine, ti tocca piegare la scrittura un po’ a tutto. Argomenti che normalmente t’interessano, come questioni di cui tendenzialmente faresti volentieri a meno. Oppure – e questo forse è ancora più difficile – ti tocca scrivere di ambiti che muori dalla voglia di approfondire, ma lo devi fare mantenendo una forma diversa da quella che vorresti poter scegliere tu. E questo perché non stai scrivendo per passatempo, né per indirizzare una lettera a te stesso. Lo fai perché devi e devi scrivere qualcosa che interessa al cliente, in un modo che possa attirare l’attenzione del suo cliente.

Ecco perché penso che leggere LA STORIA di Indro Montanelli sia una grande lezione per chi ha scelto il mestiere di scrivere. Montanelli, da grande penna qual era, prima di mettersi a scrivere la sua Storia d’Italia, si deve essere fermato per chiedersi: perché? E soprattutto: per chi? Avrebbe scritto alla massa, a quell’Italia degli anni Cinquanta che bramava una cultura. Il mondo era cambiato, nuove opportunità si stavano schiudendo per la nascente classe media, ma ecco che alla massa mancava ciò che l’élite aveva sempre avuto: la conoscenza, da cui la consapevolezza, delle proprie radici.

LA STORIA, di Indro Montanelli

Non credo sia un discorso di prese di posizione partitiche. Anche se, a ben vedere, il tanto vituperato Montanelli scrivendo questa Storia d’Italia fece il gesto più “di sinistra” e democratico che gli si potesse chiedere. Dare, cioè, gli strumenti alla massa per conoscere se stessa. La propria identità, il proprio percorso attraverso i secoli. Sapeva che, per farlo nel modo giusto, avrebbe dovuto infrangere più di un tabù. Avrebbe cioè dovuto rendere accessibile ai molti qualcosa di accademico. Togliere l’appannaggio esclusivo della Storia con la esse maiuscola ai salotti buoni degli eruditi. E ci riuscì.

Senza far troppo spoiler – oggi diremmo così, ma riferito all’ambito storico fa davvero molto ridere – ecco perché amo quest’opera. E perché spero di riuscire presto a leggere anche il resto dei volumi. Perché ha carattere. Il carattere semplice e schietto di chi più che sui quando, si sofferma sui chi e sui perché. Dà un volto alle persone del passato, che improvvisamente smettono di essere meri personaggi di cronache vuote, asettiche. Oltre il susseguirsi di date e battaglie, verso l’aneddoto e l’estremo piacere di raccontarlo. Il segreto de LA STORIA di Indro Montanelli, così come l’ingrediente magico della scrittura ben riuscita, sta tutto qui: entrare nella testa del lettore e scrivere di conseguenza. Semplice, ma non troppo.

il racconto dell'ancella

IL RACCONTO DELL’ANCELLA, una scrittura di silenzio

Conoscevo la fama di Margaret Atwood, scrittrice canadese autrice del romanzo IL RACCONTO DELL’ANCELLA. E conoscevo June, la protagonista dell’acclamata serie THE HANDMAID’S TALE. Quello che mi mancava era dare un nome allo stile e alle caratteristiche proprie della scrittura di questa storia. Capire, anche, come la serie si fosse sviluppata dal testo di partenza. E, lo confesso, avevo una gran voglia di scoprire da vicino il talento narrativo della Atwood, di cui purtroppo mi mancava esperienza diretta. Così, mi sono decisa a leggere il libro.

margaret atwood il racconto dell'ancella

Ed è stato davvero come trovarmi coinvolta in una battaglia per dare, di nuovo, un nome alle cose. Il loro giusto nome, quello che dovremmo ricordare sempre, che non dovrebbe mai andare perso nei meandri della mente, o della Storia. IL RACCONTO DELL’ANCELLA è un romanzo che riecheggia di nomi diversi, mutati per ordine del regime fondamentalista cristiano che ha preso il sopravvento. Le stesse persone ed i loro ruoli hanno dovuto assumere denominazioni altre da quelle in uso nel passato: etichette appioppate ad arte dal regime. Nomi propri di persona caduti, dimenticati, brutalmente rimossi e cancellati… se non nella memoria di chi resta vigile. Di chi “non dimentica”.

Nomi possibili da pronunciare solo in bisbigli e nel silenzio acuto dei propri pensieri. Questo aspetto emerge in modo molto chiaro anche dalla serie TV, che per parecchi versi ho trovato rispecchiare ed approfondire lo spirito del romanzo. Certo, arrivo tardi a scegliere di scrivere di questo libro. Sono consapevole che ne abbiano, a più riprese, già parlato in molti. Eppure, sono convinta che i tempi delle stagioni delle serie TV (questo weekend siamo tutti catturati da LA CASA DI CARTA, giusto?!), come quelli dei social, vivano vite brevi. I libri, un po’ come il cinema d’autore, invece restano.

una citazione dal libro Il racconto dell'ancella

La storia di IL RACCONTO DELL’ANCELLA, data alle stampe nel 1985, ha stregato il mondo per ben tre decenni prima di diventare anche una serie TV. Era uno di quei libri cult, sempre presenti nelle liste di collettivi e gruppi femministi. E, nonostante magari non si trovasse in cima alle classifiche di lettura, restava eternamente consigliato da donna a donna, finendo in migliaia di wishlist. Certo, c’è anche un’ormai datata trasposizione cinematografica – che non ho visto – ma credo sia sempre stata la bellezza folgorante della storia a fare breccia. La trama, i personaggi e l’indomita penna di Margaret Atwood: elementi perfetti per una scrittura di solitudine.

Mi correggo: non so se la Atwood – che sono estremamente grata di aver letto e che non vedo l’ora di ritrovare, magari proprio nel sequel I TESTAMENTI – abbia scritto questo romanzo in una condizione di solitudine. Pare che l’idea di sviluppare la storia di IL RACCONTO DELL’ANCELLA le sia venuta nella primavera dell’84, quando ancora viveva a Berlino Ovest. E che poi l’abbia portata a termine in Alabama, dove si era trasferita per insegnare. Credo però che ci voglia bravura, una bravura enorme, per dare voce ad una storia unicamente tramite il racconto interiore della protagonista. Un personaggio silenziato, spesso costretto a tacere e a dosare con estrema cura le parole per esprimersi in pubblico. Rinunciando invece totalmente a quelle in forma scritta: nella storia narrata, alla quasi totalità delle donne è proibito sia leggere che scrivere. Già questo mi avrebbe data per spacciata!

citazione-atwood-raccontare

È quindi June – che ora si chiama Offred, in onore del Comandante che deve servire – a srotolare per noi la matassa della realtà. I nostri occhi vedono, perché lei osserva e racconta. Le nostre orecchie sentono, perché June ascolta e racconta. Racconta a sé stessa, in sostanza, e noi lettori diventiamo parte del suo monologo. Di questo avvincente dialogo interiore in cui ci ritroviamo subito avvinti, in attesa di capire meglio come funziona il suo mondo. Un mondo distopico, brutale, in cui le persone hanno compiti precisi stabiliti e normati da un regime teocratico, dove la libertà di culto è stata soppressa.

Noi, lettori incollati alle pagine del romanzo IL RACCONTO DELL’ANCELLA, esistiamo solo attraverso le sue parole. Un po’ come June può esistere solo ostinandosi a salvare la memoria della propria identità. O come allo stesso tempo Offred (Difred, in altre traduzioni) esiste solo con funzione riproduttiva per il suo Commander. Ecco perché è importante continuare a raccontare. A fare passare un messaggio, non per forza di speranza, ma a tutti gli effetti di resistenza dell’essere umano che lotta per restare tale. E l’unico modo per farlo è intavolare con sé stessi un racconto silenzioso che, a torto o a ragione, mi piace chiamare scrittura di solitudine.

June ricorda il suo nome nel romanzo Il racconto dell'ancella

A distanza di 36 anni dalla prima pubblicazione, il successo di ben quattro stagioni con l’iconica Elizabeth Moss e chissà quante altre occasioni di adattamento, IL RACCONTO DELL’ANCELLA resta un capolavoro. Indiscusso, per la trama, la caratterizzazione dei personaggi, i dettagli che prendono vita e il caleidoscopio degli stati d’animo che popolano il romanzo. Un capolavoro sulla libertà di dare il giusto nome a cose e persone. Una storia forte, raccontata da una scrittura altrettanto forte: a metà tra la pugnalata e la continua epifania. Una limpida, distopica e coraggiosa scrittura di silenzio.

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