Conoscevo la fama di Margaret Atwood, scrittrice canadese autrice del romanzo IL RACCONTO DELL’ANCELLA. E conoscevo June, la protagonista dell’acclamata serie THE HANDMAID’S TALE. Quello che mi mancava era dare un nome allo stile e alle caratteristiche proprie della scrittura di questa storia. Capire, anche, come la serie si fosse sviluppata dal testo di partenza. E, lo confesso, avevo una gran voglia di scoprire da vicino il talento narrativo della Atwood, di cui purtroppo mi mancava esperienza diretta. Così, mi sono decisa a leggere il libro.

margaret atwood il racconto dell'ancella

Ed è stato davvero come trovarmi coinvolta in una battaglia per dare, di nuovo, un nome alle cose. Il loro giusto nome, quello che dovremmo ricordare sempre, che non dovrebbe mai andare perso nei meandri della mente, o della Storia. IL RACCONTO DELL’ANCELLA è un romanzo che riecheggia di nomi diversi, mutati per ordine del regime fondamentalista cristiano che ha preso il sopravvento. Le stesse persone ed i loro ruoli hanno dovuto assumere denominazioni altre da quelle in uso nel passato: etichette appioppate ad arte dal regime. Nomi propri di persona caduti, dimenticati, brutalmente rimossi e cancellati… se non nella memoria di chi resta vigile. Di chi “non dimentica”.

Nomi possibili da pronunciare solo in bisbigli e nel silenzio acuto dei propri pensieri. Questo aspetto emerge in modo molto chiaro anche dalla serie TV, che per parecchi versi ho trovato rispecchiare ed approfondire lo spirito del romanzo. Certo, arrivo tardi a scegliere di scrivere di questo libro. Sono consapevole che ne abbiano, a più riprese, già parlato in molti. Eppure, sono convinta che i tempi delle stagioni delle serie TV (questo weekend siamo tutti catturati da LA CASA DI CARTA, giusto?!), come quelli dei social, vivano vite brevi. I libri, un po’ come il cinema d’autore, invece restano.

una citazione dal libro Il racconto dell'ancella

La storia di IL RACCONTO DELL’ANCELLA, data alle stampe nel 1985, ha stregato il mondo per ben tre decenni prima di diventare anche una serie TV. Era uno di quei libri cult, sempre presenti nelle liste di collettivi e gruppi femministi. E, nonostante magari non si trovasse in cima alle classifiche di lettura, restava eternamente consigliato da donna a donna, finendo in migliaia di wishlist. Certo, c’è anche un’ormai datata trasposizione cinematografica – che non ho visto – ma credo sia sempre stata la bellezza folgorante della storia a fare breccia. La trama, i personaggi e l’indomita penna di Margaret Atwood: elementi perfetti per una scrittura di solitudine.

Mi correggo: non so se la Atwood – che sono estremamente grata di aver letto e che non vedo l’ora di ritrovare, magari proprio nel sequel I TESTAMENTI – abbia scritto questo romanzo in una condizione di solitudine. Pare che l’idea di sviluppare la storia di IL RACCONTO DELL’ANCELLA le sia venuta nella primavera dell’84, quando ancora viveva a Berlino Ovest. E che poi l’abbia portata a termine in Alabama, dove si era trasferita per insegnare. Credo però che ci voglia bravura, una bravura enorme, per dare voce ad una storia unicamente tramite il racconto interiore della protagonista. Un personaggio silenziato, spesso costretto a tacere e a dosare con estrema cura le parole per esprimersi in pubblico. Rinunciando invece totalmente a quelle in forma scritta: nella storia narrata, alla quasi totalità delle donne è proibito sia leggere che scrivere. Già questo mi avrebbe data per spacciata!

citazione-atwood-raccontare

È quindi June – che ora si chiama Offred, in onore del Comandante che deve servire – a srotolare per noi la matassa della realtà. I nostri occhi vedono, perché lei osserva e racconta. Le nostre orecchie sentono, perché June ascolta e racconta. Racconta a sé stessa, in sostanza, e noi lettori diventiamo parte del suo monologo. Di questo avvincente dialogo interiore in cui ci ritroviamo subito avvinti, in attesa di capire meglio come funziona il suo mondo. Un mondo distopico, brutale, in cui le persone hanno compiti precisi stabiliti e normati da un regime teocratico, dove la libertà di culto è stata soppressa.

Noi, lettori incollati alle pagine del romanzo IL RACCONTO DELL’ANCELLA, esistiamo solo attraverso le sue parole. Un po’ come June può esistere solo ostinandosi a salvare la memoria della propria identità. O come allo stesso tempo Offred (Difred, in altre traduzioni) esiste solo con funzione riproduttiva per il suo Commander. Ecco perché è importante continuare a raccontare. A fare passare un messaggio, non per forza di speranza, ma a tutti gli effetti di resistenza dell’essere umano che lotta per restare tale. E l’unico modo per farlo è intavolare con sé stessi un racconto silenzioso che, a torto o a ragione, mi piace chiamare scrittura di solitudine.

June ricorda il suo nome nel romanzo Il racconto dell'ancella

A distanza di 36 anni dalla prima pubblicazione, il successo di ben quattro stagioni con l’iconica Elizabeth Moss e chissà quante altre occasioni di adattamento, IL RACCONTO DELL’ANCELLA resta un capolavoro. Indiscusso, per la trama, la caratterizzazione dei personaggi, i dettagli che prendono vita e il caleidoscopio degli stati d’animo che popolano il romanzo. Un capolavoro sulla libertà di dare il giusto nome a cose e persone. Una storia forte, raccontata da una scrittura altrettanto forte: a metà tra la pugnalata e la continua epifania. Una limpida, distopica e coraggiosa scrittura di silenzio.